La storia
“IL DICIASSETTE DEL TRISTE NOVEMBRE”
Nell’estate del 1944 la Resistenza armata in Italia vive una fase di forte espansione. Lo slancio spontaneo seguito all’8 settembre 1943 lascia gradualmente spazio a forme più organizzate, pur tra differenze e contrapposizioni interne. È il tempo dell’ottimismo: molti credono che la guerra stia per concludersi, anche grazie all’avanzata degli Alleati.
A questo processo non sfugge la Resistenza bergamasca, che segna alcuni importanti successi militari, come quelli di Fonteno, Corna Lunga e Manina. Tuttavia, l’arrestarsi dell’offensiva alleata facilita l’azione repressiva nazifascista: iniziano i rastrellamenti, e anche la Resistenza bergamasca subisce duri colpi, con le sconfitte di Petosino, Malga Lunga e Cornalba.
La vicenda della Malga Lunga, dunque, si inserisce pienamente in questo contesto e ne diventa un esempio emblematico, utile a comprendere un passaggio decisivo della storia della Resistenza italiana e, in particolare, di quella bergamasca. Per questo la Malga Lunga è stata pensata non solo come Museo della 53ª Brigata Garibaldi, ma come vero e proprio Museo della Resistenza bergamasca, luogo di memoria collettiva e patrimonio di tutta la comunità.
Nel 1944 la Malga diventa sede di una squadra della 53ª Brigata Garibaldi che assume il nome “13 Martiri di Lovere”, in onore dei tredici partigiani fucilati il 22 dicembre 1943 a Lovere (Francesco Bessi, Giulio Buffoli, Salvatore Conti, Andrea Guizzetti, Eraldo Locardi, Vittorio Lorenzini, Giacinto Macario, Giovanni Moioli, Luca Nikitsch, Ivan Piana, Giuseppe Ravelli, Mario Tognetti, Giovanni Vender). Il comandante Giovanni Brasi (“Montagna”) ne affida la gestione alla squadra del tenente Giorgio Paglia (“Tenente Giorgio”), composta da una quindicina di uomini, mentre il Comando della Brigata si insedia a Campo d’Avene, distante circa mezz’ora di marcia.
Il 17 novembre 1944 la Malga Lunga viene attaccata di sorpresa da ingenti forze fasciste della Legione Tagliamento. Da giorni, le zone operative delle formazioni partigiane sono percorse da rastrellamenti serrati. Intorno a mezzogiorno, i fascisti raggiungono la Malga cogliendo di sorpresa i partigiani: l’imboscata è resa possibile da una serie di circostanze sfavorevoli, dal mancato allarme della sentinella al fatto che la squadra sia a ranghi ridotti, essendo alcuni uomini impegnati altrove in attività partigiane.
All’interno della Malga, in quel momento, si trovano otto partigiani: con Giorgio Paglia vi sono Guido Galimberti (“Barbieri”), Andrea Caslini (“Rocco”), Mario Zeduri (“Tormenta”), i russi Semion Kopcenko (“Simone”), Alexander Noghin (“Molotov”), Ilarion Efanov (“Starich”) e “Donez”.
La battaglia infuria per quasi tre ore. Gli assalitori riescono infine a salire sul tetto e a lanciare alcune bombe a mano all’interno, costringendo i partigiani – ormai a corto di munizioni – alla resa. Giorgio Paglia e i suoi uomini si consegnano ai fascisti con la promessa di avere salva la vita. Tra loro ci sono due feriti gravi: il russo Ilarion Efanov “Starich”, colpito da una bomba a mano, e Mario Zeduri “Tormenta”, rientrato in Brigata proprio quella mattina del 17 novembre, ancora debilitato dalle ferite riportate nella battaglia di Fonteno dell’agosto 1944.
I fascisti non mantengono la parola data. I due partigiani feriti vengono uccisi subito, finiti sul posto a colpi di pugnale. I sei superstiti sono trascinati a valle, mentre gli uomini del comandante Brasi tentano invano – ostacolati dalla neve alta – di liberarli lungo il percorso. Quattro giorni più tardi arriva per tutti la condanna a morte. A Giorgio Paglia viene offerta la grazia in quanto figlio di Guido, medaglia d’oro della Guerra d’Africa. Ma il giovane rifiuta: non avendo ottenuto la libertà anche per i compagni, chiede di essere fucilato per primo, per dimostrare loro che avrebbe condiviso fino in fondo la stessa sorte.
Sono le 18.00 del 21 novembre 1944 quando i sei prigionieri vengono fucilati sul lato sinistro del cimitero di Costa Volpino. Nello stesso giorno, poco distante, al cimitero di Lovere, subiscono la stessa sorte anche i fratelli Renato e Florindo Pellegrini (“Falce” e “Martello”), catturati il 20 novembre nei rastrellamenti di Covale.